Il nuovo film di Salvatores, Happy Family, racconta la storia di due famiglie, apparentemente diverse, ma piene di profonde contraddizioni. Il titolo Happy Family è un eufemismo: in realtà nascoste tra i sorrisi ci sono tristezza, fobia e insoddisfazione per la vita. Nel film si esorcizza la paura di vivere, quello che impedisce a molti di godere delle piccole cose quotidiane senza farsi affliggere dall’ignoto e dall’imponderabile. Le fobie moderne sono tante, molti ne soffrono ed è difficile superarle: la paura di volare, di incontrare persone, di ammalarsi, di restare soli, di fallire, di perdere i nostri affetti, di innamorarsi, di lasciarsi, di divorziare, di trovarsi al posto sbagliato al momento giusto o di non trovare il tempo per sè stessi e gli altri- E queste sono soltanto le fobie “più grandi. A volte le paure peggiori sono quelle più insignificanti, che si insinuano nel cervello senza trovare via d’uscita, quelle che ci affliggono per la loro pungente ossessione e che arrivano senza un motivo apparente, quasi a volerci sfidare. Ogni personaggio nel film ha paura di qualcosa: la figlia Caterina pensa di emanare cattivi odori perché le rosse solitamente puzzano. I genitori sono preoccupati perché il proprio figlio vuole sposarsi troppo presto e quando capiscono che la sua “promessa sposa” non lo vuole più, si preoccupano che possa diventare gay. E poi c’è il padre-marito scosso per via di un tumore. la moglie che non trova più stimoli per il marito e la nonna “imbranata” che non ricorda le cose e dice di non saper fare i dolci. E poi i figli che non sanno cosa fare della loro vita, la madre apprensiva per la figlia troppo libertina, il marito insoddisfatto della propria vita e del proprio lavoro…insomma ci sono dei veri casi umani da gestire. E chi meglio può farlo se non il protagonista? Fabio De Luigi interpreta non a caso uno scrittore in erba che decide di scrivere un film originale, che possa colpire il pubblico. Per farlo raccoglie diversi personaggi, li fa interagire tra loro, li inserisce in un contesto cercando di intrecciare le loro storie. Il compito non è per niente facile, anche per via delle continue lamentele degli attori, che vogliono ritagliarsi una parte importante nel film. E così la trama non decolla e lo scrittore è costretto a rivedere i suoi piani ritrovandosi catapultato nel suo film e interagendo con i suoi stessi attori. Insomma un film nel film, un intreccio di vite sospese tra realtà e finzione, tra colpi di scena, scene tragicomiche e confessioni introspettive. Salvatores presenta i suoi personaggi in cerca d’autore, cercando di trovare una collocazione che possa renderli unici e particolari. Il regista segue un percorso preciso nello sviluppo della trama: nella prima parte gli attori si presentano al pubblico, raccontando la propria vita e i propri interessi: fase importante perché i personaggi si mettono a nudo confidando le loro debolezze e le loro paure. Successivamente nella seconda parte è il protagonista a rendersi partecipe in prima persona e a farsi conoscere al pubblico: è difficile però intrattenere rapporti con gli attori quando sai che quegli stessi attori sono una tua creazione. Ogni scrittore dovrebbe rimanere fuori dalla storia e concentrarsi sul suo sviluppo, senza farsi condizionare da nessuno. Eppure a volte questo non è possibile. La scena dove vengono lanciati i titoli di coda dopo l’ennesimo buco nell’acqua dello scrittore fa storcere il naso allo spettatore che si riprende quando capisce che è solo un trucco. Il film è un’estremizzazione della vita, dove tutto sembra normale, ma in realtà non lo è. E alla fine viene spontaneo chiedersi se sia meglio essere sé stessi fino in fondo, rischiando di essere tagliati fuori da tutto o fingere di essere qualcun altro per interagire con la società. A voi la risposta.
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